venerdì 1 maggio 2015

STORIA DI UGO

C'era una volta una ridente cittadina, dove i muri erano color ocra e dove l'umidità non scendeva mai sotto l'ottanta per cento. Dove le strade erano fatte di sassi costosi, che ogni due anni venivano riposizionati da omini arancioni, per la gioia degli Anzianotti da Cantiere, soggetti incanutiti che vegliavano ai bordi delle opere stradali, dispensando consigli tanto inutili quanto fastidiosi e non richiesti.
In questa gaia città viveva la nostra eroina, una giovane (...) donna dai ricci capelli infeltriti,
che ogni giorno sfidava l'umidità e la sorte svolgendo la professione di avvocato. Ella, come ogni avvocato della cittadina, aveva un sogno che svelava a pochi: cambiare lavoro prima della nuova riforma del Baule di Previdenza Forato, un organismo dedito alla confusione e al mantenimento dei più anziani degli avvocati. Era un sogno a cui pensava ogni giorno, ma che si faceva più insistente quando tornava dal tribunale della ridente cittadina.
Una bella mattina di aprile, con il sole che scaldava discreto e il cielo blu che lasciava sperare in una umidità appena sotto il livello da branchie, la nostra riccioluta eroina sentì più forte che mai il bisogno di risollevare il proprio umore. Avendo ella forte il desiderio di dedicarsi appieno ad una scrittura che nulla avesse a che fare con richieste di risarcimenti e buche nell'asfalto (che ad aprile fioriscono gaie), solo due erano i posti che le ridonavano il sorriso: la magica libreria Trame e il vicino negozio di forniture per ufficio. Entrambi profumavano meravigliosamente di tanti tipi diversi di carta, di inchiostri e di gomma da cancellare. Erano pieni di colori e di scrittura, ancora da fare o già creata, strade già percorse da qualcuno, che attendevano solo di essere seguite di nuovo dai lettori.
Quel dì, però, la nostra eroina scelse le forniture da ufficio. E così, fantasticando sul colore delle carpette o su una nuova penna a gel, varcò trasognata la soglia delle porte scorrevoli del negozio, inspirando a fondo, sorridendo e scuotendo i bei ricci infeltriti, con la convinzione interiore che lì dentro l'umidità rinunciasse a raggiungerla, in una sorta di tana libera tutti.
E poi inciampò. Non capì subito contro cosa, perché prima che potesse pensare di chinare la testa a controllare i propri piedi, la raggiunse un suono, una voce leggermente cigolante: "Ughi... Ughino, ti prego, dalli un secondo alla mamma". Abbassò finalmente gli occhi e colse complessivamente una massa di capelli corti, grigi e ispidi, ruotine tonde, borse imbottite e una manina paffuta con dei lunghissimi pennelli infilati in mezzo. Il puzzle del perfetto dramma si compose rapido nella sua mente. Una mamma tendenzialmente alternativa, contraria alle tinture per capelli, amante dell'abbigliamento da ex studentessa dell'Accademia di Belle Arti che non ha mai compreso valore ed implicazioni della preposizione "ex", affrontava, totalmente impreparata, l'ennesima disfida con un pargolo circaduenne, accanito sostenitore della tirannia per nulla illuminata.
Pochi secondi ed il sorridente intervento di una commessa molto meno disposta alla tirannia bastarono a chiarire definitivamente la tenzone. La nostra ex studentessa era penetrata nel negozio, armata del dispotico pargolo ruote-munito, allo scopo di acquistare alcuni pennelli, che aveva arraffato dagli scaffali e rifilato al pargolo stesso per tenerlo buono, senza calcolare l'incidenza del fattore "dispotismo ad oltranza". Si era trovata così ostaggio della manine paffute, le quali, piuttosto che restituire i pennelli (azione indispensabile all'acquisto), erano disposte a riempire di cazzotti molto ben piazzati l'implorante viso della mamma alternativa. L'incanutita ex ragazza continuava a scongiurare piagnucolante il bambino, il quale continuava a bearsi del proprio potere, e una simile aberrante scenetta avrebbe potuto continuare all'infinito, tenendo tutti i potenziali clienti del negozio fuori dal negozio stesso. Avrebbe potuto, sì, se non fosse stato per il fondamentale intervento della commessa. Ella, per nulla sensibile al fascino delle tiranniche manine o dei versi di disappunto emessi dal pargolo, gli strappò con poco garbo ma molti sorrisi i pennelli, ponendo fine alla tragedia e congedando la mamma alternativa, affinché andasse ad ammorbare altri ignari esercizi commerciali, lasciando libera la nostra eroina di riprendere il suo inspirato (letteralmente) vagabondare per carte.
Ora, la nostra favola finisce qui. Ma tutti sanno che le favole hanno sempre una morale, un insegnamento di grande valenza culturale del tipo "se sei buona, brava, e capace di comunicare con gli animaletti mentre rassetti casa, prima o poi un intervento ultraterreno farà sì che ti capiti qualcosa di figo". Che poi è anche la trama di Phenomena di Dario Argento, a dimostrazione che nulla si crea. Nel caso presente, le morali sono più d'una, lasciate che ve le elenchi:
1) riflettete sempre bene sui nomi che distribuite così superficialmente alla vostra progenie, perché hanno una loro incidenza nelle vicende della vita. Ad esempio, se siete ispirati a chiamare vostra figlia Samantha perché sperate di vederla prendere 18 lauree in fisica quantistica, ricordatevi che la Cristoforetti potrebbe essere una felice eccezione e che il rischio di ritrovarvi la voce di vostra figlia che sussurra oscenità da un 144 a caso è concreto. Così, se siete delle appassionate dei Sepolcri e decidete di chiamare vostro figlio Ugo, mettete in conto almeno un paio di rischi: che il pargolo vi esca fisicamente molto poco prestante (Foscolo aveva tante qualità, ma non mi risulta si fosse piazzato bene nel concorso di Mister Zante) o, in alternativa, che vi nasca già incazzoso per la scelta di un nome che lo accomuna contemporaneamente ad uno dei più tristi poeti italiani (leggete qui se non credete) e ad uno dei più sfigati impiegati della penisola. E finisce che vi si rivolta contro, comprensibilmente, e non vi lascia in pace manco quando dovete scegliere due pennelli per il corso post maternità di acquarelli&yoga.
2) Ogni tanto una qualche dritta genitoriale elargitela, alla vostra progenie. Il mantra di molti genitori ostaggi dei pargoli è "ma è ancora piccolino". E io mi chiedo: quand'è che invece passa quella invisibile linea di demarcazione per cui non è più troppo presto per insegnargli qualcosa? Silenzio e sguardi attoniti. Del resto, oggi la teoria "la natura fa da sé" va per la maggiore: il bambino decide da solo quando mangiare, il bambino decide da solo quando dormire, il bambino decide da solo quando svezzarsi, il bambino decide da solo quando e se assumere un comportamento socialmente accettabile. E ognuno, giustamente, decide da sé come crescere i propri figli. Ho un solo dubbio: in tutto questo faidate, i genitori a che servono? Perché poi il faidate ti si propaga a macchia d'olio anche in altri campi, per cui si finisce a sostenere che il bambino capirà da solo quando è il momento di togliersi le dita dal naso, il bambino capirà da solo che i compiti vanno fatti, fino ad arrivare ai grandi temi sociali de "il bambino capirà da solo che la mamma non va picchiata con la camionetta dei pompieri a grandezza naturale del Playmobil". E mi piace sempre ricordare che, visto che tiriamo in ballo la natura ogni tre per due, non mi viene in mente un solo animale, escluso l'uomo, che lasci tutto questo campo libero ai propri piccoli. Probabilmente, se i merli aspettassero la decisione dei piccoli di lasciare il nido, avremmo presto una nuova specie di uccello da cortile che non vola e molti meno gatti felici (in quanto, ahimè, beneficiari delle cadute di merlottini inabili al volo).
3) Basta coi sensi di colpa materni. Perché tutte queste concessioni ai pargoli, se da un lato rendono molto meno duro il lavoro di educatore (che un "no" ben piazzato è sempre una discreta fatica), dall'altro rendono assai pesante e ricca di sensi di colpa la vita delle madri. Che se lasci da sola la prole per cinque minuti o se non dedichi ogni minuto libero a giocare con loro, sei chiaramente figlia tu stessa del demonio. Per cui in tutta questa forma di genitorialità perversa, oltre ad un certo rincoglionimento di massa, ci leggo anche una sottile e tutta nuova forma di sessismo. Perché, gira che ti rigira, il faidate non include mai un ruolo determinante del padre. #Machesorpresa...
4) Occhio al potenziale Futurouomodimerda. Il bambino dispotico, che a due anni può anche far sorridere o risultare solo leggermente irritante, a 35 diventa il fidanzato peggiore che una possa immaginare e, talvolta, pure un violento. Perché se a due anni per la frustrazione del desiderio disatteso ti tirano dietro un pennello, a 35 ti tirano dietro un bel calcio, o una sedia o magari un pugno ben piazzato. Vi sembra un'esagerazione? Fidanzatevi con un bambino mai svezzato, poi fatemi sapere. Avete solo l'imbarazzo della scelta, il range 35-55 offre un vastissimo campionario della categoria. Ragione per cui non penserò mai che sia troppo presto per spiegare ad un infante (vero) che nel mondo non c'è solo lui. Perché io valgo e pure l'infante. E la vita di un eterno bambino, contrariamente a quanto si possa pensare, non è affatto divertente.

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